Successione conto cointestato

Conto cointestato: conoscere le regole tra i correntisti eviterà spiacevoli sorprese all'apertura della successione. Quali tutele adottare per la successione del conto cointestato?

Conto cointestato: conoscere le regole tra i correntisti eviterà spiacevoli sorprese all’apertura della successione. Quali tutele adottare per la successione del conto cointestato?

Fra errate prassi e false credenze, la gestione del conto corrente cointestato può presentare molte insidie e riservare spiacevoli sorprese.

L’apertura di una successione può essere l’occasione per rivedere l’intero rapporto tra i cointestatari ed originare importanti restituzioni in favore della massa ereditaria o imputazioni alla propria quota.

Benché oggi esistano molti strumenti informatici (internet banking) ed elettronici (bancomat) che più difficilmente consentono di risalire a chi dei correntisti abbia effettuato i prelievi o i pagamenti, è bene conoscere esattamente il funzionamento della cointestazione del un conto per essere consapevoli di come utilizzarlo correttamente.

Il conto corrente cointestato è normalmente un contratto di deposito di denaro (art. 1834 c.c.) regolato dalle norme del conto corrente (art. 1852 c.c. e ss.), concluso tra i correntisti e la banca.

Il denaro depositato nel conto diventa di proprietà della banca, che è obbligata o a restituirlo ai correntisti dietro loro richiesta o ad eseguire le istruzioni da loro impartite (pagamenti a terzi).

I correntisti pertanto, nel perdere la proprietà del denaro, acquistano il corrispondente credito.

A questo punto è necessario distinguere i rapporti esterni, tra correntisti e banca, da quelli interni tra i correntisti stessi.

Hai qualche domanda?

Rapporto esterno con la banca

Il rapporto con la banca è regolato principalmente dall’art. 1854 c.c., in base a cui gli intestatari sono considerati creditori e debitori solidali dei saldi de del conto.

Ciò sta a significare che la banca può pretendere l’intero debito (scoperto) anche da un solo correntista e specularmente che ciascuno di loro può disporre dell’intero credito (saldo attivo).

In capo a ciascun correntista si crea verso la banca una legittimazione assoluta a disporre di tutto.

Questa regola è valevole soltanto per la cointestazione disgiunta; nel caso di quella congiunta la legittimazione a disporre del denaro spetta ed entrambi unitamente. In sostanza la banca non potrebbe consentire versamenti, prelievi o pagamenti se non con il consenso di entrambi.

Rapporto interno tra correntisti

È l’art. 1298 c.c. che regolamenta tali rapporti. Trattandosi di obbligazione solidale attiva e passiva, l’obbligazione (credito o debito) si divide tra loro, salvo che sia contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi, e le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.

In sostanza la norma afferma:

  • si presume che il credito sia da dividere tra i correntisti
  • si presume che si divida in parti uguali di 1/2 ciascuna
  • non si divide se risulta che l’interesse al credito è esclusivamente di uno soltanto dei correntisti
  • si divide in quote diverse se risulta diversamente

Facendo applicazione di questi principi ne ricaviamo che le prime due presunzioni (diritto alla divisione a metà) possono essere superate attraverso la rispettiva dimostrazione che il credito appartiene esclusivamente ad uno dei due e che le quote sono diverse proprio per la diversa misura di appartenenza del credito.

La presunzione di appartenenza del denaro per metà ciascuno sposta l’onere della prova in capo al correntista, circa l’effettività di un diverso assetto.

Facciamo un esempio che si presenta di frequente: il padre A ed il figlio B sono cointestatari di un conto corrente a firma disgiunta, nel quale sono depositati i risparmi del padre e in cui confluisce soltanto la pensione del padre stesso. Entrambi fanno distinte operazioni di prelievo e pagamenti verso terzi.

Come configurare i rapporti interni

Tralasciando i rapporti con la banca, che abbiamo già detto essere non opponibili alla medesima, verifichiamo cosa accade nei rapporti tra i cointestatari.

Tecnicamente l’attribuzione del denaro conferito da un correntista in favore dell’altro è configurabile come cessione del credito ex art. 1260 c.c. e ss. tra cedente (correntista conferente), cessionario (l’altro correntista) e ceduto (banca), come ha osservato Cass. 21963/19.

L’istituto della cessione del credito è una fattispecie contrattuale che ha sempre ad oggetto un credito ma ha causa variabile. Così se la cessione avviene dietro corrispettivo sarà una compravendita, se è gratuita potrebbe essere una donazione.

L’art. 1298 c.c. abbiamo visto far presumere un’avvenuta cessione del 50% del credito in favore dell’altro cointestatario, prescindendo dalla causa stessa.

Tornando al nostro esempio tra padre e figlio, il figlio B che nel tempo ha disposto del denaro del conto, può ritenersi al riparo dal doverlo restituire? Eventualmente dovrà restituirlo tutto o solo la parte che ha ecceduto la metà?

Donazione indiretta?

Se crediamo che la cointestazione di un conto in cui siano depositate risorse conferite soltanto da uno, costituisca automaticamente donazione indiretta della metà in favore dell’altro, rischiamo di commettere un grave errore.

Ricordiamo che mentre la donazione è un atto liberale tipico a forma vincolata (atto pubblico con testimoni), la donazione indiretta è realizzata attraverso altro o altri negozi (negozi mezzo) che indirettamente producono l’effetto di arricchire il destinatario-beneficiario.

Se non è possibile escludere il profilo donativo attuato indirettamente, è bene sapere che l’onere di provare lo spirito di liberalità incombe sul presunto donatario; nel caso in esempio al figlio B.

Vi è poi da tener presente un altro importante aspetto, quello della forma dell’atto donativo. Da una parte, la giurisprudenza (tra tante l’ultima Cass. 4862/18) è ormai costantemente orientata nel ritenere che, il versamento fatto con liberalità da un correntista sul conto cointestato, configuri una donazione indiretta.

Dall’altra, la stessa cassazione (Cass. SS.UU. 18725/17) ha però dichiarato nulla la donazione di denaro effettuata tramite bonifico da un soggetto ad un altro, per mancanza dell’atto pubblico.

In dottrina (A. Busani) è stato giustamente osservato che in tal modo lo stesso atto materiale (versamento) viene considerato in modo ingiustificatamente diverso. Difatti la donazione attuata con versamento sul conto cointestato sarebbe valida perché indiretta e nulla se operata con bonifico, per carenza di forma.

Considerato che in entrambe i casi c’è solo un atto e non un negozio indiretto, sarebbe opportuna la forma dell’atto pubblico in ogni caso.

Questo per significare che i versamenti sul conto cointestato potrebbero essere colpiti da nullità per mancanza di forma, con tutto quanto ne consegue in termini restitutori a carico del presunto beneficiario, se dovesse mutare l’orientamento giurisprudenziale.

Per concludere sul punto, ribadiamo che in ogni caso per poter configurare l’eventuale donazione del denaro, per la quota di 1/2 mediante versamento sul conto cointestato è necessario che sussista l’animus donandi, che non si presume.

Oltre la presunzione di appartenenza ad entrambi i correntisti

Se, per quanto abbiamo detto sopra, vi è presunzione titolarità di 1/2 ciascuno dei correntisti sulle risorse depositate, è altrettanto vero che può essere fornita prova contraria circa la riferibilità delle medesime al solo correntista conferente o in quote diverse. Prova fornibile anche attraverso presunzioni semplici, ricavabili pure dal contegno delle parti (Cass. 18777/15 e Cass. 21963/19).

E’ allora evidente che la prova dell’assenza di una causa attributiva del denaro, o meglio del relativo credito, all’altro correntista, genera tutta una serie di conseguenze.

  • La cointestazione crea semplicemente una legittimazione ad operare sul conto in base ad un meccanismo assimilabile alla procura
  • Il denaro (il credito) non è mai di titolarità dell’altro correntista non conferente
  • L’utilizzo del denaro da parte del correntista non titolare del denaro, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, è illegittimo
  • L’utilizzatore è tenuto a restituirlo

In ogni caso, anche ove non si riuscisse a superare la presunzione di appartenenza, l’altro correntista non potrebbe legittimamente disporre oltre alla metà di spettanza; in tal caso potrebbe anche configurarsi il reato di appropriazione indebita.

A questo punto siamo in grado di dare le risposte relative al rapporto padre A e figlio B, di cui al nostro esempio.

Il padre A è l’unico che risulta aver effettuato versamenti sul conto cointestato, avendo apportato i risparmi accumulati e poi i ratei di pensione. Il figlio B invece ha sempre fatto prelievi e pagamenti. Pur potendolo fare, è verosimile che il padre, per amor di figlio, in vita non gli chieda alcun resoconto delle operazioni fatte sul conto ed anzi che le abbia tollerate. Ora, alla morte del padre, se il figlio è l’unico erede, non si pone alcun problema, mentre potrebbe presentarsi allorché ad esempio vi fossero altri eredi.

Questi, ricostruendo l’intero rapporto di conto corrente (versamenti – prelievi) potrebbero superare la presunzione di appartenenza di metà delle del figlio B, fornendo la prova che il denaro era tutto di proprietà del padre A. Dunque che non vi fosse alcuna causa attributiva della metà al figlio B, con la conseguenza di dover quest’ultimo restituire quanto illegittimamente prelevato nel tempo.

In tale scenario, il figlio B potrà eventualmente dimostrare che si sia trattato di donazione indiretta e/o che certi pagamenti o prelievi sono stati fatti nell’interesse del padre e/o che il denaro è stato restituito al padre.

Precisiamo che, se potrebbe esser data la prova della causa liberale per il cospicuo versamento del padre dei propri risparmi conferiti nel conto cointestato, assai difficilmente potrebbero ritenersi tante donazioni indirette quanti sono gli accrediti sul conto della pensione.

10 anni a ritroso

Le eventuali somme prelevate illegittimamente dal conto cointestato da uno dei correntisti, obbligano quest’ultimo a restituirle, con tanto di interessi.

L’azione volta al recupero di dette somme non è un’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), né un’azione di petizione dell’eredità (art. 533 c.c.), che hanno la comune caratteristica di essere volte al recupero di beni suscettibili di apprensione (es. mobili e immobili).

Trattasi invece di azione personale di recupero di un credito fondata su pagamento indebito, esercitabile entro il termine di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c., decorrente dall’illecita operazione di prelievo compiuta dal correntista cointestatario.

Cosa fare in vita per evitare future incertezze

Se nell’intento delle parti (cointestatari del conto) ci fosse la volontà di non lasciare le sorti del rapporto alla precaria presunzione di appartenenza al 50%, ben potrebbero mettere tutto nero su bianco. Mettere per scritto se i conferimenti di uno siano fatti a titolo di donazione, a titolo di prestito (mutuo), a titolo solutorio (pagamento di un debito) o semplicemente come legittimazione ad operare su disposizioni dell’effettivo titolare.

Il conferente potrebbe anche disciplinare a posteriori la sorte del rapporto con il testamento, prevedendo ad esempio un legato di liberazione dal debito, pari a quanto avrebbe dovuto restituire l’altro correntista.

Hai bisogno di chiarimenti?