Dividersi dagli altri eredi
Dividersi dagli altri eredi
“Mi voglio dividere dagli altri eredi” è l’espressione con cui diversi clienti, esausti, si rivolgono a me per dirmi cosa vogliono ottenere. E’ una frase molto eloquente, che fa centro sui problemi della comunione ereditaria.
E’ proprio quest’ultima, salvo rari casi, la fonte di tanti disagi e litigi tra gli eredi: chi amministra e chi si disinteressa; chi vuole vendere e chi mantenere; chi vendere a prezzo esoso e chi svendere; chi godere dei beni direttamente e chi ritrarre una rendita (es. locazione) e così via. Insomma si crea una “convivenza” forzosa tra eredi, difficilmente gestibile; è da qui che sorge la necessità di recidere questo legame.
Non a caso, anche il codice civile non vede di buon occhio la comunione e ne consente sempre lo scioglimento mediante divisione dei beni.
In questo articolo cercherò di illustrare in modo chiaro come funziona la divisione.
Hai qualche domanda?
La comunione tra eredi è il vincolo da sciogliere
La comunione sorge quando per legge e/o testamento più di un erede succede nel patrimonio del de cuius, acquistando così ciascuno una quota sui beni caduti in successione.
La comunione ereditaria potrebbe anche verificarsi in caso di legato di bene lasciato a due o più legatari, mentre non sorge in caso di istitutio ex re certa o di divisione fatta dal testatore; nei due ultimi casi infatti vi è una attribuzione esclusiva di singoli beni.
Non è il caso di dilungarsi sulla natura giuridica della comunione e, tra le tante teorie, quella che maggiormente ne coglie l’essenza è la teoria della proprietà plurima parziaria: unico diritto (es. diritto di proprietà) qualitativamente identico tra gli eredi, ma quantitativamente diverso perché commisurato alla quota (frazione dell’intero). E’ proprio la quota l’elemento di relazione tra l’unicità del diritto e la pluralità di soggetti (eredi) a consentirne la convivenza e così a dare la misura dei poteri di godimento, dei vantaggi e svantaggi, dell’aspettativa della divisione.
Ebbene, è lo stato di comproprietà e di convivenza che gli eredi spesso si prefiggono di sciogliere, per concentrare il loro diritto su taluni dei beni (porzioni tra eredi), che diventano esclusivi. Proprio da qui l’esigenza di dividersi dagli altri eredi.
Quali diritti fanno parte della comunione quali no
E’ tanto doveroso, quanto utile ricordare quali sono i diritti sui beni che ricadono in comunione e che così sono suscettibili di essere divisi:
– Diritti reali: la proprietà e gli altri diritti reali possono certamente formare oggetto della comunione, come espressamente previsto dall’art. 1100 cc. In tale ambito vanno ricompresi anche i diritti su beni immateriali (proprietà intellettuale, come brevetti, marchi, modelli e copyright)
– Diritti di credito: seppur non esente da critiche è preferibile la tesi che ammette la comunione dei crediti, fondata sul dato normativo degli artt. 727 e 760 cc. Difatti la prima norma prevede, in tema di divisione, che “…le porzioni devono essere formate…, comprendendo…una quantità di crediti….” E la seconda esclude la garanzia per insolvenza del debitore per un credito assegnato ad un coerede. Questa impostazione è confermata da Cass. SS.UU. 24657/2007. Per un approfondimento sui crediti bancari ereditari leggi questo articolo.
Il credito che può cadere in comunione è sia quello derivante da rapporti extracontrattuali (es. risarcimento danni per sinistro) ed anche quello derivante da rapporti negoziali (es. preliminare di compravendita) ineseguiti o parzialmente eseguiti.
Non sono invece oggetto della comunione:
– Debiti: gli artt. 752 e 754 cc prevedono espressamente la ripartizione automatica dei debiti tra gli eredi, in proporzione alla rispettiva quota, fatti salvi i casi di indivisibilità per le prestazioni indivisibili ex art. 1316 cc.
– Diritti personali di godimento: trattasi di diritti che hanno la particolarità di avere in sé tratti dei diritti obbligatori ed altri dei diritti reali. Di norma tali diritti si estinguono con la morte del titolare, ma vi sono casi in cui vi subentrano gli eredi ex lege (successione anomala) come nel caso del coniuge, eredi o parenti conviventi del conduttore (art. 6 L. 392/1978). In tali casi si esclude una comunione in senso tecnico del diritto, che possa essere oggetto di divisione.
– Diritti personalissimi o intuitu personae: i primi, essendo intimamente connessi alla vita del de cuis (nome, identità personale, onore, riservatezza, ecc) si estinguono con la sua morte; i secondi, essendo connotati dalla infungibilità della prestazione, sia essa attiva e/o passiva, non si trasmettono.
Come uscire dalla comunione ereditaria
Con l’accordo è possibile dividersi dagli altri eredi, ossia si può sciogliere la comunione sia col contratto di divisione vero proprio (negozio plurilaterale a prestazioni corrispettive di straordinaria amministrazione), che con altri negozi che conducono al medesimo risultato. Pensiamo alla vendita di eredità, alla permuta di quote, transazione, ecc. In questi casi saremo davanti alla figura del negozio indiretto, caratterizzato dall’uso del negozio-mezzo (es. vendita) per il raggiungimento dello scopo del negozio-fine (divisione/scioglimento), con conseguente applicazione delle norme formali del primo e sostanziali del secondo.
In mancanza di accordo esiste invece una sola strada percorribile: la divisione giudiziale. E’ il giudice che, attenendosi alle “regole del gioco” (le norme in materia) provvederà a dividere i beni tra gli eredi, formando le porzioni tra eredi.
Divisione giudiziale
Diritto alla divisione
Come già fatto cenno, la comunione ereditaria non è vista favorevolmente, tanto da poter essere sciolta da qualunque partecipante. Ogni erede comunista ha il diritto potestativo di chiederne la divisione (art. 713 cc), affinché siano formate le porzioni tra eredi.
Con l’esercizio di tale diritto, ciascuno ha il potere di modificare anche lo stato di diritto di tutti gli altri.
Causa e natura giuridica della divisione
Recentemente la divisione è stata oggetto di profondi ripensamenti. Sino a poco fa, salvo isolate voci (Capozzi), la divisione era considerata un negozio dichiarativo con effetti retroattivi, che andava a modificare, senza trasferimenti, la successione ereditaria. Per questo era considerato l’atto conclusivo del fenomeno successorio, ed in quanto tale partecipe della causa successoria, che non la modificava se non per l’aspetto qualitativo (dalla quota su più beni al bene esclusivo). In sostanza la causa divisoria non era altro che lo scioglimento della comunione, ottenuto con lo strumento dell’apporzionamento.
Oggi invece si è individuato proprio nell’apporzionamento l’elemento fondante e caratterizzante della divisione, sia essa contrattuale, testamentaria o giudiziale. Attraverso di esso, si attuano vere e proprie attribuzioni di beni esclusivi (porzioni tra eredi), di valore corrispondente a quello della quota. Ciascuna assegnazione è interdipendente dall’altra e tutte provocano una trasformazione giuridica, passando dalla comproprietà al alla proprietà individuale.
Ciò comporta il riconoscimento della natura giuridica della divisione come costitutivo-traslativa. Proprio tale concetto è quello sposato di recente da Cass. SS.UU. 25021/2019, la quale ne corrobora l’assunto partendo dalla retroattività degli effetti della divisione, sanciti dall’art. 757 cc. Difatti non avrebbe senso far retroagire gli effetti di un atto che accerta o dichiara una situazione già esistente, mentre lo ha per l’atto che muta (costituisce) una nuova situazione.
Non si tratta di mere disquisizioni accademiche, ma di importanti implicazioni sulla possibilità di dividersi dagli altri eredi.
Preventivo tentativo di conciliazione
Il D.Lgs. 28/2010 e successive modifiche, ha introdotto per alcune materie l’obbligo, che è condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale, di esperire il tentativo di mediazione-conciliazione presso un organismo accreditato presso il Ministero della Giustizia. Il procedimento, caratterizzato dalla riservatezza, può esitare o in un verbale negativo di mancato accordo, presupposto per poi adire le vie giudiziali, o in un accordo conciliativo-negoziale, con valore di titolo esecutivo, dal contenuto causale più vario (transazione, divisione, ecc).
Tra le materie per cui vi è obbligo del preventivo tentativo di conciliazione (art. 5 D.Lgs. 28/2010) troviamo proprio la divisione e le successioni ereditarie.
Come va presentata la domanda di divisione
Fallito il tentativo di conciliazione, non resta che avviare il giudizio di divisione giudiziale, da proporsi con atto di citazione per dividersi dagli altri eredi.
Con tale domanda l’attore (colui che chiede la divisione), deve:
- a) dare prova della sua qualità di erede e degli altri eredi che con lui sono in comunione; in caso di “masse plurime” (comunioni generate da titoli diversi) deve indicare anche gli altri comunisti che a diverso titolo vantano diritti pro quota sui beni da dividere;
- b) indicare la misura del diritto, ossia il valore della quota sulla massa da dividere;
- c) domandare che siano formate le porzioni tra eredi, in modo da ottenere l’attribuzione del diritto esclusivo su una parte dei beni comuni, corrispondenti al valore della quota.
Non necessaria sin da subito, ancorché opportuna, è la dimostrazione da fornire nei termini preclusivi di rito circa la titolarità dei beni in capo al de cuius e la consistenza materiale da dividere. Il riferimento, per quanto riguarda gli immobili, va alle certificazioni ipo-catastali (sostituibili con apposita relazione notarile). A tal fine dovranno esser prodotti i titoli di acquisto dei beni da parte del de cuius, le ispezioni ipotecarie e catastali che coprono il periodo che va dall’acquisto fatto dei beni da parte del de cuius fino alla all’attualità.
La citazione è soggetta a trascrizione nei Registri Immobiliari ex art. 2646 cc per il solo effetto prenotativo e della continuità delle trascrizioni.
Il primo consente ad esempio di esimere i comproprietari dall’onere di chiamare in giudizio il creditore di un erede sulla cui quota abbia iscritto ipoteca successivamente alla trascrizione della citazione (Cass. 19550/2009); il secondo di poter efficacemente consentire le successive trascrizioni di atti dispositivi dei beni poi assegnati.
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Come si svolge il giudizio per dividersi dagli altri eredi
Il processo divisorio è caratterizzato da regole vincolanti per il giudice, ma derogabili con l’accordo delle parti processuali. E’ per questo che il processo può assumere sia la veste di procedimento contenzioso, terminando con una sentenza di divisione, o quella di procedimento di volontaria giurisdizione, terminando con una ordinanza.
Le fasi del procedimento sono così riassumibili, nella sequenza logica che segue:
- Verifica stato e stima dei singoli beni che compongono la comunione da dividere (art. 726 cc). In questa fase sarà protagonista l’accertamento tecnico d’ufficio (CTU)
- Eventuale vendita di taluni beni comuni per pagare i debiti ereditari (art. 719 cc)
- Formazione dello stato attivo e passivo (art. 723 cc)
- Regolazione debiti del condividente erede verso il de cuius
- Determinazione delle porzioni tra eredi da assegnare ai condividenti
- Eventuale vendita dei beni indivisibili che non possono essere assegnati al comproprietario di maggioranza o ad un gruppo di condividenti (art 720 cc)
Criteri per formare le porzioni tra eredi da assegnare
L’aspetto centrale dell’iter divisorio è appunto l’apporzionamento, ossia la formazione dei lotti in vista della loro attribuzione esclusiva agli eredi condividenti.
E’ connaturato alla divisione il diritto dei condividenti all’attribuzione dei beni in natura (art. 718 cc). Ciò sta a significare che le porzioni tra eredi dovranno essere formate da una quantità di beni mobili, crediti e immobili di ugual natura e quantità, ovviamente commisurate alla quota.
I principi cardine della divisione sono dunque la proporzionalità e l’omogeneità.
Mentre il primo non è in alcun modo sacrificabile (il valore dei beni attribuiti deve essere uguale al valore della quota su tutti), il secondo potrà esserlo. Basti pensare ai diversi fattori, come l’indivisibilità materiale di certi beni (es. una vettura), quella giuridica (immobili non comodamente divisibili, ecc), la quantità di beni omogenei in riferimento al numero dei condividenti (un appartamento a fronte di sei condividenti), ecc.
Da tali principi si ricava la regola per cui non si può pretendere “…un pezzettino in natura di ciascun bene…” poiché “Si tratta di una aspirazione che non corrisponde a un interesse meritevole di tutela, finendo spesso con lo svilire l’utilità ricavabile dal bene nella sua integrità, soprattutto allorché l’aspettativa del controinteressato possa essere ragionevolmente soddisfatta attraverso l’assegnazione di beni della stessa specie, con qualità analoghe o le cui differenze possano essere equilibrate mediante il pagamento di un conguaglio.” (Successioni e contenzioso ereditario, a cura di F.P. Torrasi).
Esempi pratici
Facendo concreta applicazione di detti principi e regola e con l’ausilio di esempi pratici si ricava per dividersi dagli altri eredi:
a) ove possibile ogni porzione dovrà esser composta da beni appartenenti a ciascuna categoria di beni, in proporzione a ciascuna quota. Esempio: 3 eredi con ciascuno una quota di 1/3 a fronte di 3 macchine, 3 crediti e 3 immobili di ugual valore. Ciascuna porzione verrà formata con 1 macchina, 1 credito e 1 immobile;
b) nei casi in cui la formazione omogenea delle porzioni dovesse provocare delle ineguaglianze sui valori, si compenseranno con conguagli in denaro (art. 728 cc). Esempio: 3 eredi con ciascuno quota di 1/3 a fronte 3 immobili (2 del valore di 100 e 1 del valore di 70). Chi prenderà gli immobili da 100 dovrà pagare 10 ciascuno all’assegnatario dell’immobile 70. Il credito da conguaglio è assistito da garanzia reale di ipoteca legale sugli immobili assegnati ai condividenti su cui incombe tale obbligo (art. 2817 cc);
c) quando non vi sono beni della stessa categoria sufficienti rispetto al numero dei condividenti ed i beni sono indivisibili o non comodamene divisibili, detti beni dovranno preferibilmente esser ricompresi nella porzione del quotista maggiore o nelle porzioni di più condividenti che ne richiedono congiuntamente l’attribuzione (art. 720 cc), con addebito dell’eccedenza. In tal caso il bene entrerà a far parte di una comunione più ristretta. Esempio: 3 eredi con quote A di 3/6, B e C di 2/6 ciascuno a fronte di un monolocale; l’immobile andrà ad A o congiuntamente a B e C;
d) anche quando i beni siano in sé comodamente divisibili, ma il loro frazionamento non consenta di dare omogeneità a tutte le porzioni, i beni andranno posti in vendita per poi dividerne il denaro ricavato. Esempio: 5 eredi con uguali quote a fronte di 2 appartamenti facilmente frazionabili in 2 ciascuno. Le 4 unità ritraibili lascerebbero insoddisfatto 1 degli eredi.